“Di cosa ti occupi?”, “Che lavoro fai?”, “Cosa vuoi fare da grande?”. Sono solo alcune delle domande che frequentemente vengono poste ai noi multipotenziali e che puntualmente ci mettono in crisi. In questo articolo voglio darti qualche suggerimento per vivere queste domande con più serenità. Partiamo!
Chi siamo noi multipotenziali?
Sei mai stato etichettato come “tuttofare”, “camaleonte” o “persone poliedrica”? Se sì, potresti essere uno di noi: un multipotenziale. E se non hai mai sentito parlare di questa categoria di individui, beh, preparati a scoprire una comunità vibrante e affascinante di persone mossa da una vasta gamma di interessi e talenti.
Come multipotenziale, mi sento parte di una tribù unica, caratterizzata da una sete insaziabile di conoscenza e una fervida creatività. Siamo i curiosi, gli esploratori, i pionieri delle connessioni inaspettate. La nostra mente è come un caleidoscopio, in grado di vedere il mondo sotto molteplici prospettive e di abbracciare una varietà di passioni e talenti (anche apparentemente lontanissimi tra loro!)
Tra i pregi dei multipotenziali, spicca la versatilità. Siamo in grado di adattarci a diverse situazioni e compiti con facilità, grazie alla nostra capacità di apprendimento rapido e alla flessibilità mentale. La nostra curiosità insaziabile ci spinge a esplorare nuovi territori e ad approfondire una vasta gamma di argomenti, arricchendo così il nostro bagaglio di conoscenze e competenze.
Inoltre, la creatività è il nostro pane quotidiano. Siamo in grado di trovare connessioni tra idee e concetti provenienti da ambiti diversi, alimentando così la nostra capacità di innovare e di pensare fuori dagli schemi.
Ma non tutto è rose e fiori nella vita di un multipotenziale. La nostra natura poliedrica può portare con sé una serie di sfide, soprattutto quando si tratta di inserirsi nel mondo del lavoro e di perseguire la realizzazione personale.
La nostra natura eclettica può renderci vittime della dispersione, e a volte ci fa lottare per ottenere un minimo di concentrazione su un’unica attività per volta o per definire una chiara direzione nella nostra vita professionale. Per non parlare poi di quanto la nostra società spesso premia la specializzazione, e questo può farci sentire fuori posto in un mondo che valorizza la profondità piuttosto che la vastità di interessi.
Inoltre, la nostra tendenza a saltare da un interesse all’altro può farci sembrare instabili o indecisi agli occhi degli altri, rendendo difficile per noi trovare la nostra strada nel mondo del lavoro e realizzare il nostro pieno potenziale.
Tuttavia, nonostante le sfide, i multipotenziali portano con sé un’infinita ricchezza di prospettive e capacità. Siamo in grado di contribuire in modo unico e prezioso a qualsiasi contesto lavorativo o creativo, portando con noi l’energia e la passione di chi non si accontenta mai dello status quo.
Perché la domanda “Di cosa ti occupi?” ci mette in crisi?
Il problema nasce da un significato distorto che siamo abituati ad attribuire a questa domanda. Ora, non sono una veggente, ma sono sicura di sapere dove va a parare la tua mente quando leggi la domanda “di cosa ti occupi?” o quando qualcuno ti pone questo interrogativo a voce.
Al tuo lavoro.
Fuoco?
Ora, questa visione, per quanto comune è piuttosto riduttiva e anche un po’ triste. Considerando il fatto che questa frase viene posta in un contesto conoscitivo tra due persone, fa presupporre che ciò che più ci interessa sapere di uno sconosciuto è che lavoro fa. Non solo, presupponiamo di fatto che per quella persona sia scontato “occupare” gran parte del suo tempo lavorando.
Ma chi ci dice che le cose stanno così?
Tutto questo nasce dal fatto che nella nostra società il lavoro occupa una parte significativa della nostra identità e del nostro tempo, ed è spesso uno dei principali indicatori sociali del nostro status e del ruolo che rivestiamo nella nostra comunità.
Anche se per la maggior parte delle persone è consuetudine a rispondere alla domanda “di cosa ti occupi?” spiegando il proprio lavoro, non dobbiamo per forza sottostare a questa abitudine. Infatti non sempre ciò che è diffuso e considerato normale è sano, giusto o rappresentativo del nostro modo di essere.
Mi riferisco in particolare a tre categorie di persone:
- Chi un lavoro non ce l’ha e non potendo rispondere a questa domanda come le persone si aspettano, rischia di sentirsi invisibile se non addirittura inesistente.
- Chi non crede che il lavoro sia un elemento che costituisce l’identità personale, ma solo un mezzo per sostenere le proprie passioni, la propria famiglia e per pagare le bollette.
- Chi è un multipotenziale e si sente inadeguato, perché non riesce ad esprimere una visione unitaria delle sue attività lavorative: o perché sono molteplici allo stesso tempo, o perché ha cambiato molte volte professione nel giro di poco tempo.
Ad ogni modo, “di cosa ti occupi?” crea un problema di identità per tutti coloro che non concepiscono il lavoro nel modo più diffuso.
In che altro modo rispondere?
Esiste una via d’uscita indolore per rispondere alla domanda “di cosa ti occupi?”.
Come abbiamo già visto nelle righe precedenti, non esiste una regola ufficiale che ci impone di rispondere a questa domanda raccontando il lavoro che facciamo. È solo una convenzione sociale che ci porta a farlo. Un’abitudine.
Questo non ti impedisce di trovare un modo originale di esprimere chi senti di essere. Ovviamente, considera il contesto in cui ti trovi: se stai affrontando un colloquio di lavoro è molto probabile che il tuo interlocutore vuole conoscere le tue esperienze lavorative, ma se ti trovi in un contesto sociale puoi avere più margine di creatività.
A chi ti chiede “di cosa ti occupi?” magari per rompere il ghiaccio o per cercare di conoscerti meglio, rispondi facendo appello ai tuoi valori, allo scopo della tua vita o alle tue passioni più profonde.
Racconta delle attività o dei progetti che stai seguendo in questo momento, anche se non sono retribuite. Forse ti stai dedicando a opere di volontariato, oppure ti sei iscritto a un nuovo corso di fotografia o ancora stai progettando un viaggio in giro per il mondo che sta catturando tutte le tue energie!
Non esistono risposte giuste o sbagliate, ma solo conversazione interessanti oppure no.
Quando rispondi a questa domanda non è tanto importante ciò che dici, ma come lo dici: esprimi sicurezza, fai trasparire il tuo entusiasmo e il tuo coinvolgimento per quello che stai spiegando. Forse il tuo interlocutore sarà spiazzato inizialmente perché si aspettava tutt’altra risposta, ma la tua originalità nel gestire una conversazione che era iniziata nel più banale dei modi potrebbe stupirlo.
All’inizio ti potrà sembrare complicato, ma è solo questione di esercizio. Se la domanda “di cosa ti occupi?” ti mette a disagio, ti crea fastidio o non ti piace per mille motivi raggirala e sfruttala per parlare di ciò che davvero ti interessa discutere, e che racconta qualcosa di significativo riguardo alla tua identità personale.
In conclusione.
In questo articolo abbiamo visto come la domanda “di cosa ti occupi?” può essere davvero fastidiosa per le persone multipotenziali, ma anche per tutti coloro che non si sentono rappresentati come persone dal lavoro che praticano.
Infatti la nostra società ha imposto in modo ufficioso ma assai radicato l’abitudine di rispondere alla domanda “di cosa ti occupi?” con il lavoro che facciamo, come se il lavoro costituisse la nostra identità.
È possibile raggirare questa domanda e rispondere in modo originale, per esempio parlando dei nostri valori, dei nostri progetti extra-lavorativi e del nostro scopo della vita. Forse questo tipo di risposta sorprenderà in prima battuta il nostro interlocutore ma poi la conversazione di farà interessante e sorprendente.
Silvia Vernelli
Sono la prima Life & Multipotential Coach italiana. La mia missione è accompagnare le persone multipotenziali in un percorso verso l’autorealizzazione personale Grazie al mio metodo di lavoro esclusivo e alla mia esperienza personale di vita come multipotenziale, ti dimostrerò che anche tu puoi trovare un equilibrio tra il tuo desiderio di pace e la tua fame di cambiamento.