La società attuale ci ha abituato a pensare che nella specializzazione professionale risieda la gratificazione lavorativa per eccellenza. Ma è solo un punto di vista, e contiene anche una grande falla. L’iper-specializzazione è una caratteristica professionale che è stata in voga per un lungo periodo, che è durato fino a poco fa. Ma epoche precedenti sono state ben diverse e il futuro apre nuovi scenari in cui questo modello risulta antiquato più che mai.
Di cosa parleremo qui:
- Come ci hanno convinti che la specializzazione fosse la chiave del successo?
- Ma in passato le cose non stavano così!
- Perché il modello della specializzazione non funziona più?
- Cosa permette ai multipotenziali di muoversi meglio nella vita e nel lavoro?
- Come realizzarti nel lavoro se sei un multipotenziale?
Come ci hanno convinti che la specializzazione fosse la chiave del successo?
Le origini della specializzazione professionale sono fortemente interconnesse alla divisione dei saperi, avvenuta in tempi piuttosto recenti. I primi passi furono mossi da Cartesio (che guarda caso era un filosofo, matematico e scienziato), il quale sentì la necessità di creare delle categorie del sapere per gestire meglio la vasta mole di informazioni a sua conoscenza. La vera grande rivoluzione però fu segnata dalla pubblicazione de l’Encyclopédie di Denis Diderot in collaborazione con Jean Baptiste Le Rond d’Alembert, avvenuta tra il 1751 e il 1756. Questo testo dimostrò come fosse possibile suddividere il sapere in settori diversi, attribuendo ad ognuno specifiche caratteristiche.
Un passo ulteriore e decisivo in questa direzione è stato mosso con la Rivoluzione Industriale. In questo periodo storico venne teorizzato il concetto di “divisione del lavoro”, diventato famoso con Adam Smith e il suo libro “La Ricchezza delle Nazioni” (1776). Egli osservò che suddividendo il processo produttivo in piccole mansioni specializzate, la produzione diventava più efficiente.
Le ripercussioni di questo approccio al lavoro focalizzato sulla massima produttività, efficienza e specializzazione intesa come considerare il lavoratore un piccolo ingranaggio di un enorme sistema è arrivato, più o meno edulcorato, ai giorni nostri. Ma tutto ciò non è privo di conseguenze sociali e psicologiche: le persone si sentono sempre più distanti, alienate e non rappresentate da questo modello di lavoro disumanizzante.
Ma in passato le cose non stavano così!
Prima di allora la multidisciplinarità era una caratteristica comune a tutti i grandi pensatori, tanto che lo studioso Waqās Ahmed nel suo libro The Plymath – Unlocking the power of human versatility afferma che “Siamo tutti esseri intrinsecamente poliedrici e dimostriamo chiaramente questa disposizione durante l’infanzia”. Il cambio di passo avviene nel passaggio alla fase adulta. Continua infatt lo studiosoi: “Cresciamo con l’idea che dedicarsi in modo esclusivo a un aspetto frammentato della vita sia l’unico modo per perseguire la verità, l’identità e persino il sostentamento. Chi ci costringe? Genitori, istituzioni educative, datori di lavoro, governi o persino la società stessa, che si è evoluta per perpetuare la frammentazione e l’iper-specializzazione in tutte le aree della vita”.
La convinzione che i grandi innovatori fossero specialisti è frutto di un bias, nello specifico del bias del sopravvissuto. Si tratta di un “errore” del nostro sistema cognitivo che ci porta a valutare una situazione considerando solo quegli elementi che hanno già superato un processo di selezione (i “sopravvissuti”, per l’appunto). Nella pratica, ci porta a sopravvalutare alcuni eventi e a dimenticarci totalmente di altri. Questo bias è molto comune quando ci confrontiamo con il successo delle altre persone, considerandole particolarmente fortunate, talentuose o ricche ed evitiamo di considerare i loro fallimenti, i sacrifici e l’impegno che hanno messo per anni prima di raggiungere un traguardo.
Applicato al nostro caso, il bias del sopravvissuto ci ha portato a creare delle tassonomia che riguardano anche i più prestigiosi studiosi di tutti i tempi. Ecco quindi che siamo tutti d’accordo nell’affermare che Aristotele era uno dei massimi filosofi dell’Antica Grecia. Ma quante volte ci soffermiamo a pensare che fosse anche un esperto di politica, teologia, arte, cosmologia e biologia? O che Copernico, il padre dell’astronomia moderna nonché l’ideatore della teoria eliocentrica, era anche un ecclesiastico, un pittore, un diplomatico, un avvocato e un fisico. Oppure ancora, che Lewis Carroll (pseudonimo di Charles Dodgson), famoso per aver scritto Alice nel Paese delle Meraviglie, è stato anche un brillante matematico, fotografo e inventore. Nella nostra mente, in pratica, si è fissato il ruolo professionale che ha permesso a questi e a tanti altri geni di passare alla storia. Forse, l’unico a cui è impossibile appiccicare un’etichetta anche per l’opinione comune, è Leonardo da Vinci: inventore, scienziato, pittore, ingegnere e scultore.
Perché il modello della specializzazione non funziona più?
Voglio riportare un semplice dato, pubblicato su Forbes nel 2019: “Il 65% degli studenti delle scuole superiori finisce in posti di lavoro che non sono ancora stati inventati”. Questo vuol dire che il sistema scolastico tradizionale non è più in grado di preparare i giovani ad affrontare il mondo del lavoro, perché non è più statico e immutabile come un tempo, ma in continuo movimento. È anacronistico pensare a un lavoratore come a un ingranaggio di una catena di montaggio, perché evolvono con troppa velocità e troppo radicalmente i sistemi di produzione.
Vogliamo parlare del ruolo dell’Intelligenza Artificiale in tutto questo? Parliamone.
L’Intelligenza Artificiale andrà a prendere il posto di certe figure professionali, soprattutto di quelle responsabili di mansioni tecnico-operative. Pertanto sapersi reinventare e passare agevolmente da un campo all’altro diventa un grande vantaggio competitivo nel mondo del lavoro ma anche una caratteristica che regala maggiore serenità nell’affrontare i cambiamenti.
Ecco perché chi già di natura possiede una propensione al cambiamento, allo studio di varie discipline e alla sperimentazione, come i multipotenziali, è più adatto a vivere in un’epoca come la nostra e quella che verrà.
Cosa permette ai multipotenziali di muoversi meglio nella vita e nel lavoro?
I multipotenziali presentano delle caratteristiche uniche, che li rendono delle figure chiave nei contesti sociali e lavorativi post-moderni. Per esempio, il multipotenziale è dotato della capacità di “rapido apprendimento”, ovvero riesce ad immagazzinare concetti e ad apprendere abilità con una velocità superiore alla media. Inoltre la loro scoppiettante creatività e il loro bagaglio di conoscenze variegate che spaziano in vari ambiti, consente loro di scorgere nuove possibilità, di aprire nuovi orizzonti e scorgere opportunità laddove altri vedono solo ostacoli.
Sapendo muoversi logicamente e verbalmente su tanti argomenti, riescono a sostenere conversazioni brillanti con più o meno tutti e in un team di lavoro riescono a mediare tra i reparti più lontani (per esempio tra amministrativi e creativi).
Si tratta inoltre spesso di persone umili, mosse dal motto “so di non sapere”. Infatti un multipotenziale non si farà mai vanto di avere 10-20-30 anni di esperienza in un settore e per questo è ben disposto verso l’apprendimento continuo e il confronto con chi ne sa di più.
Sono persone che amano il cambiamento e mosse da grande entusiasmo, per questo motivo possono essere dei leader in grado di trainare gruppi lavorativi.
Purtroppo però i multipotenziali subiscono ancora lo scotto di realtà imprenditoriali vecchio stampo che ricercano figure iper-specializzate, convinte che nella verticalità professionale risieda il vantaggio competitivo per la propria azienda. Dal mio punto di vista costituire un team senza un multipotenziale al proprio interno è come avere un campo pieno di alberi da frutto e poco distante un torrente, ma non pensare a un sistema di irrigazione per far convergere l’acqua sul proprio terreno.
I multipotenziali sono una grande risorsa, ma vanno compresi e gestiti. Infatti diventano presto insofferenti rispetto al ruolo che viene loro assegnato, soprattutto se si tratta di un lavoro statico e privo di contaminazioni. Date loro una buona dose di autonomia e vi solleveranno il fatturato.
Come realizzarti nel lavoro se sei un multipotenziale?
Una delle grandi sfide per i multipotenziali è costruirsi una dimensione professionale appagante e soddisfacente. I percorsi possono essere molteplici, come:
- Cambiare lavoro frequentemente
- Scegliere un lavoro con un alto tasso di innovazione
- Inventarsi una figura professionale nuova che combina più ambiti
- Mantenere un lavoro fisso che, anche se poco gratificante in sé, permette di finanziare progetti e passioni poco o affatto remunerativi
Non esiste una strada univoca per ogni multipotenziale, ma ogni multipotenziale può scegliere la sua. Se sei un multipotenziale e ancora non hai trovato la tua direzione non ti preoccupare: vale sbagliare! Come dice la mia insegnante di yoga Sara Bigatti: “Cadere ti dà l’opportunità di ricominciare”.
In conclusione.
In questo articolo ho fatto un approfondimento storico-scientifico che riguarda la nascita e l’evoluzione del lavoro iper-specializzato.
Dall’analisi che ho riportato nelle righe qui sopra, è emerso che sia in tempi antichi (almeno dall’Antica Grecia) sia nel prossimo futuro, le figure professionali dotate di cultura multidisciplinare sono quelle con maggiore possibilità di successo. Queste figure colte e poliedriche sono foriere di innovazione, entusiasmo e crescita all’interno di un team di lavoro e in un’azienda.
Purtroppo però viviamo in una società ancora dominata dal modello dell’iper-specializzazione, per questa ragione figure interessanti come i multipotenziali fanno fatica ad inserirsi agevolmente e con soddisfazione nel mondo del lavoro. La folle creatività e il forte spirito di adattamento che li contraddistinguono, se combinati con un grande impegno, permetterà loro di trovare una strada da percorrere e che li porterà al successo.
Silvia Vernelli
Sono la prima Life & Multipotential Coach italiana. La mia missione è accompagnare le persone multipotenziali in un percorso verso l’autorealizzazione personale Grazie al mio metodo di lavoro esclusivo e alla mia esperienza personale di vita come multipotenziale, ti dimostrerò che anche tu puoi trovare un equilibrio tra il tuo desiderio di pace e la tua fame di cambiamento.